Decreto 'salva Rete4':
Berlusconi spernacchia
l'Unione Europea
Bologna, 24 maggio 2008
(avv. Antonello Tomanelli)
L’attività di fuorilegge (dell’etere) di Berlusconi incomincia nell’ottobre del 1984. Le tv del Cavaliere sono a diffusione locale, ma sparse su quasi tutto il territorio nazionale. Berlusconi già da anni ha escogitato uno stratagemma: mandare in onda simultaneamente in tutta Italia videocassette del medesimo contenuto. E’ il sistema della interconnessione funzionale. Una palese violazione della L. n. 103/1975, che consente solo alla Rai di trasmettere a livello nazionale. Così la pensano pure i pretori di Pescara e Roma, che gli oscurano le tv nei rispettivi ambiti regionali. Sarà poi Berlusconi a spegnerle tutte, dicendo che si tratta di una decisione della magistratura.
E’ il governo Craxi a inaugurare la pratica dei decreti legge che permettono alle reti Mediaset di continuare a trasmettere “provvisoriamente” a livello nazionale. Fino alla L. n. 223/1990 (“legge Mammì”), che legittima lo stato di fatto esistente ma limitandone la validità a 3 anni, nell’attesa di una legge che disciplini un piano nazionale di assegnazione delle frequenze. Quei 3 anni, poi, diventano 6 grazie al decreto legge n. 323/1993, che protrae la validità delle concessioni fino all’agosto 1996.
Ma nella legge Mammì c’è qualcosa che non va. L’art. 15 consente ad un solo soggetto di detenere fino a 3 reti televisive nazionali. Troppe, secondo la Corte Costituzionale, che con sentenza n. 420/1994 lo dichiara illegittimo per contrasto con l’art. 21 Cost., perché “il diritto alla informazione implica il pluralismo delle fonti e comporta il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di favorire l’accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse”. In sostanza, Berlusconi deve cedere Rete4, il cui acquisto, avvenuto nel 1984, ha costituito la posizione dominante.
La Corte lascia comunque salvo il termine (agosto 1996) previsto dal decreto legge n. 323/1993, ma impone al legislatore di emanare al più presto una legge organica che riduca “il limite numerico delle reti concedibili ad uno stesso soggetto”.
Infatti, ci pensa la L. n. 249/1997 ad impedire ad un singolo soggetto di detenere più del 20 per cento delle reti televisive nazionali (art. 2, comma 6°). Limite che farebbe fuori Rete4. Ma prevede pure che le emittenti possedute oltre quel 20 per cento possono continuare “in via transitoria” a trasmettere fino al termine (da stabilirsi da parte dell’Authority per le Comunicazioni) a partire dal quale le emittenti “eccedenti” (ossia Rete4) dovranno trasmettere “esclusivamente via satellite o via cavo” (art. 2, comma 7°). Ennesimo regime transitorio, dunque, varato senza nemmeno fissare il termine finale.
Per la Corte Costituzionale quella norma è una beffa. E con sentenza n. 466/2002 la dichiara incostituzionale, fissando nel contempo il 31 dicembre 2003 quale termine inderogabile a partire dal quale le emittenti eccedenti i nuovi limiti antitrust del 20 per cento (ossia Rete4) dovranno andare sul satellite. Questa è una buona notizia per Europa7 di Francesco di Stefano, che nel frattempo (1999) ha vinto la gara per il rilascio di nuove concessioni televisive nazionali. Dal 1° gennaio 2004 Rete4, che forma la posizione dominante Mediaset, dovrà lasciare le sue frequenze a Europa7.
E invece no, perché la L. n. 112/2004 (“legge Gasparri”) crea l’ennesimo regime transitorio. Conferma il tetto antitrust del 20 per cento. Ma lo rende operativo soltanto “all’atto della completa attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche e televisive in tecnica digitale” (art. 15, comma 1°). Fino ad allora, chi ha trasmesso in analogico potrà continuare a farlo. In breve, Rete4 non si tocca.
E non si toccherà per un bel pezzo. Perché il termine per la cessazione delle trasmissioni in via analogica (e l’inizio di quelle in via digitale), inizialmente fissato al 31 dicembre 2006, ufficialmente a causa della scarsa diffusione del digitale viene rinviato dapprima al 31 dicembre 2008, poi al 31 dicembre 2012. Sempre con lo strumento del decreto legge. E niente potrà impedire ulteriori rinvii.
Ma gli sforzi profusi da Di Stefano per ottenere le frequenze occupate da Rete4 vengono premiati. Il 31 gennaio 2008 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee risponde ai quesiti posti dal Consiglio di Stato, davanti al quale Di Stefano ha trascinato ministero delle Comunicazioni e Agcom chiedendo le frequenze e miliardi di Euro di risarcimento, circa la compatibilità della normativa italiana in materia radiotelevisiva con il diritto comunitario. La Corte è categorica. Le norme comunitarie “ostano, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduca a che un operatore titolare di una concessione si trovi nell’impossibilità di trasmettere in mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”.
In sostanza, secondo la Corte di Giustizia, che ha l’ultima parola sulla conformità del diritto nazionale a quello comunitario, il Consiglio di Stato deve disapplicare tutte quelle leggi (da ultime, la legge Gasparri e il Testo Unico del 2005, un copiaeincolla della Gasparri) che hanno consentito l’occupazione delle frequenze da parte di Rete4, e ordinare allo Stato italiano di assegnarle a Europa7.
Il governo Berlusconi risponde così. Per fare in fretta, prende il decreto legge 8 aprile 2008 n. 59, emanato dal governo Prodi per adeguare l’Italia ad alcune decisioni della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in materia di commissioni tributarie, corpi idrici, guardie giurate e pesca marittima, e vi inserisce l’art. 8bis. Questo, nel proclamare la necessità di uniformare “la disciplina per l’attività di operatore di rete su frequenze terrestri in tecnica digitale” ai principi comunitari, fra le varie cose stabilisce che “fermo restando quanto stabilito dalla vigente normativa in materia di radiodiffusione televisiva […] la prosecuzione nell’esercizio degli impianti di trasmissione è consentita a tutti i soggetti che ne hanno titolo, fino alla scadenza del termine previsto dalla legge per la conversione definitiva delle trasmissioni televisive in tecnica digitale”. Cioè fino al 2012 (termine che potrebbe ancora slittare). In pratica, ha riprodotto un pezzo della legge Gasparri, quella che la Corte di Giustizia ha appena dichiarato essere palesemente contraria al diritto comunitario.
Dire che con quel decreto il governo Berlusconi ha aggirato la sentenza della Corte europea è il più classico degli eufemismi. In realtà, ci è passato sopra. Tecnicamente, quel decreto rappresenta il più clamoroso caso di abuso d’ufficio che si sia mai verificato dal 1930, anno in cui è entrato in vigore il codice penale. Il reato, previsto e punito dall’art. 323 c.p., si ha quando “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto”. Dove per legge deve necessariamente intendersi anche il diritto comunitario, così come interpretato dal massimo organo giudiziario europeo, per la sua prevalenza sul diritto nazionale.
Ma ciò solo sulla carta. Per chi è parlamentare, l’art. 68 Cost. è categorico: “I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni”.
Tuttavia, dati i rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale, il Consiglio di Stato, la cui sentenza sul caso Europa7 è attesa entro qualche mese, ha il potere di non tenere conto minimamente di questo decreto. Qui non siamo nell’ipotesi della legge in contrasto con la Costituzione, dove cioè il giudice deve necessariamente attendere un intervento della Corte Costituzionale che la dichiari illegittima. Per giurisprudenza costante, sia nazionale che comunitaria, può disapplicare quel decreto, che formalmente rimane in vigore, ma non può disciplinare la controversia tra Stato e Europa7, proprio perché contrario al diritto comunitario. Con la conseguenza che lo Stato dovrà togliere le frequenze a Rete4 e darle a Europa7, anche con l’intervento della polizia se necessario.
C’è da augurarsi, quindi, che il Consiglio di Stato applichi scrupolosamente il diritto comunitario, quindi non tenga conto di questo ulteriore decreto legge. Non solo per evitare ulteriori procedure di infrazione, in aggiunta a quelle già annunciate per il settore radiotelevisivo, che alla fine potrebbero costarci miliardi di Euro. Ma anche per evitare che all’interno dell’Unione Europea il nostro finisca per essere considerato una sorta di Stato canaglia.